Le origini dell’istituto e la sua introduzione nell’ordinamento italiano
La valutazione di impatto ambientale (v.i.a.) è un istituto di origine statunitense che ha trovato attuazione in tale ordinamento a seguito dell’approvazione da parte del Congresso, il 31 dicembre 1969, del National Environmental Policy Act; successivamente, precisamente nel 1985, l’istituto è stato introdotto anche nell’ordinamento comunitario con la direttiva del Consiglio n. 85/337/CEE.
Tale direttiva imponeva agli stati membri l’introduzione nell’ordinamento nazionale della procedura di valutazione di impatto ambientale su determinate opere, le quali possono comportare un impatto ambientale “importante”, contemplate in due elenchi allegati.
Il primo indica alcune classi di progetti di maggiore rilievo, sui quali l’effettuazione della procedura ordinaria è obbligatoria; il secondo elenco contiene un’ampia indicazione di tipologie progettuali per le quali è rimessa alla discrezionalità dello Stato membro la scelta sull’assoggettamento alla procedura di VIA.
In tal caso lo Stato è tenuto ad indicare in modo puntuale tipologie, criteri di selezione, soglie limite per l’applicazione della procedura secondo modalità predeterminate nell’allegato.
Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la v.i.a. è ivi stata introdotta in maniera graduale, con successive attuazioni parziali della direttiva comunitaria di cui sopra.
A tal proposito si deve menzionare anzitutto l’art.6 della legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente[4]: essa dettava una disciplina transitoria della v.i.a. per le sole opere menzionate nell’allegato I della direttiva, impegnando il Governo a presentare al Parlamento entro sei mesi un disegno di legge relativo al completo recepimento delle disciplina comunitaria in materia di v.i.a.
Nessuna normativa organica della valutazione di impatto ambientale fu, tuttavia, emanata nel termine previsto dalla legge suddetta ed il regime transitorio si è, dunque, protratto ben oltre il periodo di tempo originariamente stabilito.
Nel frattempo venivano emanate elaborate ulteriori disposizioni normative volte a disciplinare singoli aspetti dell’istituto in esame, tra le quali,in particolare, gli artt. 14-14 quater della l. n. 241/90 e succ. mod., che disciplinano la procedura di v.i.a. in relazione all’istituto della conferenza di servizi.
Altro atto normativo rilevante in questo contesto è stato il d.p.r. 12 aprile 1996 e succ.mod., “atto d’indirizzo e coordinamento” della potestà legislativa delle Regioni in tema di v.i.a., sulla base del quale è stata elaborata una copiosa legislazione regionale.
A tale frammentario corpus normativo si aggiunsero, poi, gli artt.34, 35 e 71 del d. lgs.112/98, concernenti il riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di v.i.a. oltre a numerose previsioni contenute nella c.d. “legislazione di settore”.
Ad una disciplina organica dell’ istituto in esame si arriva con il d.lgs.152/06 (c.d. Codice dell’ambiente).
In particolare, alla v.i.a. è dedicato l’intero Titolo III della Parte II di tale decreto. Si deve sottolineare che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha censurato, all’indomani dell’emanazione del suddetto decreto, l’incompletezza della disciplina di recepimento elaborata dal nostro ordinamento ed, infatti, non è un caso che siano stati emanati, nel 2008 e nel 2010, due successivi decreti correttivi al suddetto d.lgs.152/06.